Dopo la pandemia un appello al 'giornalismo costruttivo' - #Ripensiamoci / 5

L’emergenza della pandemia ha segnato anche il giornalismo e i giornalisti. Ha imposto un nuovo stile, non solo di vita, ma anche professionale. In questi mesi i decreti governativi hanno ridotto diritti costituzionali fondamentali e hanno introdotto limiti allo svolgimento del lavoro, imponendo, laddove era possibile, il ricorso allo smart working.

Si è trattato di misure eccezionali limitate nel tempo, in cui tuttavia nessun giornale ha interrotto la propria produzione. La libertà di stampa non è stata intaccata, molti giornalisti però sono stati costretti a lavorare da casa: lo smart working ha regnato sovrano in tutte le redazioni e in alcuni casi si è rivelato non una soluzione temporanea, dovuta alla contingenza pandemica, bensì una prospettiva per il futuro.

Nulla, quindi, sarà più come prima: lo dicono tutti e poiché anche il giornalismo risulterà anch’esso cambiato bisogna cominciare a rifletterci. Quello che è successo avrà conseguenze non da poco. Esaminiamo anche solo due questioni. Il cosiddetto lavoro da casa. Dire “da casa” significa semplicemente che si può fare senza andare in redazione. Se gli editori e i giornalisti volessero sfruttare a fondo questa modalità il mondo cambierebbe parecchio. Ne avrebbero interesse tutti: le imprese potrebbero sostenere che se un redattore scrive da casa questa comodità dovrebbe implicare una variazione contrattuale (remunerazione, orario di lavoro e altro) di notevole entità. E molti giornalisti dovrebbero forse accettare anche uno stipendio più basso.

Negli ultimi anni, per una serie di ragioni, nel nostro settore il lavoro autonomo si è già molto affermato. Figuriamoci cosa potrebbe accadere adesso, in remoto. Perfino il presidente nazionale dell’Ordine Carlo Verna ha consigliato ai colleghi di consumare un po’ meno la suola delle scarpe, per non correre rischi. Ci sono articoli che si possono scrivere anche contattando le fonti per telefono. Perché non farlo anche domani? E’ evidente che se la pratica prendesse piede questo giornalismo “seduto” – che già in parte ha scavalcato quello “sul posto” – provocherebbe un declino della professione, che ha sempre inteso come vero giornalista quello che prima di ogni altra cosa va a vedere cosa è successo, per osservare, ascoltare, capire.

La seconda questione è quella che potremmo definire più “politica” perché riguarda la natura anche giuridica del lavoro giornalistico rispetto alla collettività. In questi mesi drammatici il Governo, dovendo fare delle restrizioni, ha inserito l’informazione fra le attività indispensabili, che non possono essere fermate, neppure di fronte alla pandemia. Una volta fatta questa affermazione ne scaturisce un primo effetto: l’informazione giornalistica è un servizio pubblico che deve essere garantito dallo Stato. È bene, perciò, che la categoria dei giornalisti si interroghi approfonditamente su questa modalità di esercitare la propria prestazione professionale e sui “benefici”, che essa può produrre, ma anche sulle negazioni e soprattutto sulla responsabilità che ne conseguono.

Ripensiamo al nostro lavoro e al futuro del giornalismo italiano. Cosa fare ora? Come farlo? Chi ha fatto meglio prima di noi? Questi sono i tre quesiti che dovrebbero trovare riscontro in ogni articolo o post che viene messo in circolazione. Insieme ai fatti aggiornati e non presunti. Abbiamo bisogno di un giornalismo che sia costruttivo, volto alle soluzioni e rassicurante là dove può esserlo. Andiamo a osservare come hanno gestito la situazione gli altri Paesi Europei, offriamo risposte da parte di chi può donarle, garantiamo ai lettori informazioni concrete e di qualità.

Prendiamoci cura dei contenuti che scegliamo di condividere con chi ci legge. Facciamo appello alla nostra responsabilità. Possiamo diventare utili in questo particolare momento. Ed è ciò che occorre più di polemiche, accuse, notizie distruttive. Quella che stiamo vivendo è una situazione che ci chiama tutti ad agire per uscirne al meglio. Cambiamo i toni dei nostri articoli, arricchiamo i fatti raccontati, evitiamo falsi allarmi. Non è il momento di riempire pagine di giornale con ciò che destabilizza senza motivi validi. Atteniamoci al valore della professione e alla nostra deontologia.

Questa è una buona occasione per fare appello al giornalismo costruttivo che invita a offrire risposte e soluzioni più che a cercare di scovare nuovi elementi per avere paura. Non perdiamola, ancora una volta, l’opportunità di fare bene. La Conferenza Episcopale italiana ha definito l’informazione “pane necessario alla gente” e Papa Francesco, nella messa a Santa Marta, dedicata all’emergenza per il Coronavirus, ha messo in risalto il lavoro degli operatori dei media. “Oggi – ha detto – vorrei che pregassimo per tutti loro”.

Ultima modifica: Mer 19 Ago 2020