Il confronto di Assisi: un sasso nello stagno

Un sasso nello stagno. Lanciato da una minoranza eticamente determinata. Per smuovere le acque spesso stagnanti intorno alle bambine, ai bambini e ai ragazzi nella nuova era “biomediatica” che ha rivoluzionato, in Italia e non solo, l’ecosistema dei media. È la sfida educativa (e comunicativa) che da Assisi - durante gli intensi tre giorni di Scuola di alta formazione «Giancarlo Zizola» ospitati da quel cenacolo di “utopie cristiane” che è la Cittadella – è stata declinata con generosità dai contributi dei testimoni invitati a fornire le proprie (differenti) visioni, esperienze e narrazioni alla frontiera tra ragazze, ragazzi e media: frontiera che per san Giovanni Paolo II era «uno dei principali paradigmi di civiltà e progresso… un compito esaltante a cui tutti devono contribuire secondo il proprio ruolo e le proprie competenze» (dal messaggio del 18 aprile 2001 a Emilio Rossi).

Perché «I bambini ci guardano», esordisce ad esempio Renzo Di Renzo analizzando il tema dal suo poliedrico osservatorio ai confini tra racconto, informazione e pubblicità: perciò bisogna narrare loro la realtà «con semplicità, ma evitando le semplificazioni»; sapendo senza infingimenti, aggiunge, che «ci proteggerà solo la cultura e la conoscenza. E la consapevolezza che la diversità è un bene e non un male, che siamo tutti diversi, perciò unici e speciali. Ma bisogna saper usare le parole giuste: perché le parole sono importanti». Decisive – conclude Di Renzo - come «l’immaginazione, soprattutto nell’attuale (in)civiltà delle immagini». Lui ne sa più che qualcosa: comunicatore sociale a più dimensioni, scrittore (di testi poetici e narrativi, per adulti e per bambini), docente universitario esperto di immagine (grafica, fotografica, video), editoria e new media, marketing e musica, è anche autore di un incantevole albo illustrato (Due destini, edizioni Fatatrac, con le immagini di Sonia Maria Luce Possentini), libro-progetto che veicola pure una mostra itinerante e che non a caso supporta la campagna dei medici con l’Africa CUAMM «Prima le mamme e i bambini», illustrata ad Assisi dalla ginecologa del CUAMM Rossella Peruzzi, con Anna Talami ed Elena Baboni.

Ma quali modelli antropologici sono sottesi, oggi, nei prodotti mass-mediali (e nella musica, linguaggio universale e trasversale) che i minorenni amano? Quanta influenza stanno avendo nei loro percorsi di crescita? E in particolare, che tipo di tempo libero e di divertimento vengono veicolati coerentemente da questi prodotti, e come sono poi applicati nella vita reale? E con quale presenza attiva da parte della comunità educante? Sono interrogativi posti da Marco Brusati, saggista, docente universitario e direttore generale dell’Associazione Hope (fondata nel 1998 su iniziativa del Servizio nazionale per la Pastorale giovanile della Cei e oggi rete internazionale di servizio alla Chiesa nei settori di musica, spettacolo ed eventi comunicativi). Mostrando (e commentando) immagini-choc di alcuni videoclip, Brusati infatti ammonisce: «I giornalisti hanno un ruolo determinante nel sostenere criticamente le comunità locali nell’uso consapevole dei prodotti massmediali contemporanei, che vanno conosciuti per non veicolare luoghi comuni. I giornalisti devono sentirsi educatori». Già: educatori come padre Stefano Gorla, sacerdote barnabita, giornalista (a lungo direttore del settimanale paolino «Il Giornalino» e del mensile «G-Baby») e saggista tra i massimi esperti di fumetto, cinema d’animazione e critica dei media e dei linguaggi giovanili, che ad Assisi rilancia il suo punto di vista «dalla parte dei bambini e dei ragazzi, che vanno presi sul serio. Ma per “abitare” il loro mondo – aggiunge – occorre entrare dalla porta d’accesso della curiosità. Capire quale lingua usare per informare ed educare divertendo. E ricercare una grammatica e una sintassi per comunicare l’infanzia e l’adolescenza: che non sono vasi da riempire, ma un fuoco da accendere, nella dimensione imprescindibile dell’ascolto».

Ascolto che diventa poi decisivo, se si vuole tutelare i minorenni dalle trappole disseminate nella realtà, anche della Rete - che può renderli vittime e carnefici a un tempo - e nella babele delle notizie dove il “nomadismo mediatico”, caratteristico dei cosiddetti nativi digitali e Millennials, rischia di generare «forme di disincanto e di nichilismo light» (Settimo Rapporti Censis/Ucsi sulla comunicazione, «L’evoluzione delle diete mediatiche giovanili in Italia e in Europa», 2008). Di qui la necessità di nuove alleanze e “patti educativi” tra diversi soggetti pubbici e privati ed agenzie istituzionali, al di là di famiglia, scuola e Chiesa: come la Polizia Postale, che dal 1998 tutela i minori sul web. Ad Assisi è rappresentata da Elvira D’Amato, vicequestore aggiunto della Polizia Postale, Ufficiale dell’Ordine al Merito della Repubblica italiana per il suo impegno contro il cyber-bullismo e la pedopornografia come responsabile del Centro Nazionale per il contrasto alla pedopornografia on line, struttura nata nel 2006. D’Amato, iIllustrando con precisione il difficile lavoro da lei coordinato di indagini sotto copertura a caccia di pedofili nel deep web o dark web - la faccia oscura della Rete - indica alcuni strumenti utili per creare, nelle scuole come nelle famiglie, nuove consapevolezze preventive per un pieno diritto di cittadinanza digitale, tra i quali il recente progetto del Miur per formare docenti “animatori digitali”.

L’alleanza più strategica, conclude la vicequestore della Polizia di Stato, è allora proprio quella con i protagonisti di una corretta informazione, al di là del moltiplicarsi di un Citizen journalism spesso tempestivo, ma superficiale. Per D’Amato, invece, i professionisti della comunicazione sociale devono «evitare le scorciatoie deleterie dell’imprecisione e dei sensazionalismi, fare le scelte eticamente giuste nel propagandare notizie e immagini relative a fatti scabrosi, nel rispetto della difesa dei diritti dei minori coinvolti, e tutelare così il superiore interesse pubblico in un’emergenza sociale rilevante». Non è poi tanto difficile quanto sembra - è il suggerimento, da Assisi, di Federico Badaloni, architetto dell’informazione -. È, semplicemente, faticoso. Soprattutto quando si tratta di bambine, bambini e ragazzi: che richiedono atenzione e  (cor)responsabilità maggiori.

Donatella Trotta

Ultima modifica: Mar 28 Mar 2017