Natale, il #terremoto delle nostre coscienze

Quando arriva la mail di Antonello che, per il sito UCSI, propone di sviluppare un pensiero sul Natale partendo da una parola, ho appena acceso il telefonino. Ho dunque saputo che nella notte, qui vicino, c’è stato un terremoto (9 dicembre 2019, ndr). Una scossa forte – epicentro Mugello – avvertita da tanta gente mentre ero fra i pochi, dormendo alla grande, a non averla sentito. Eccola, la parola per il Riccelli. Sarà “terremoto”. Un terremoto dell'anima e della coscienza, certamente, che niente ha a che fare con quelli disastrosi che ancora provocano dolore e disagi in tante parti d'Italia.

D’altronde cos’è, il Natale, se non un gigantesco terremoto? Secondo solo a quello (Pasqua) che arriverà un centinaio di giorni dopo. Credere in un Dio così sciocco da nascere povero facendosi uomo implica già una bella dose di coraggio: mai come credere che quello stesso Dio, dopo essere stato osannato finisce ucciso per poi tornare in vita poche ore dopo.

Roba incredibile, come quello strano annuncio di tale Isaia (un profeta, folle come folle sarà quel Gesù da lui annunciato). La steppa fiorita, le ginocchia vacillanti rese salde, gli smarriti di cuore salvati. Ma come si fa a crederci sul serio a questa roba?

Come faranno gli occhi dei ciechi ad aprirsi, le orecchie del sordi a schiudersi? Si è mai visto, se non nelle fiabe, uno zoppo saltare come un cervo o la lingua del muto gridare di gioia? E come si permette, Isaia, di usare parole così scorrette per definire due tipologie di disabilità?

Per non parlare della terra bruciata destinata a diventare palude o degli ignoranti che non si smarriranno. Una serie infinita di terremoti, ecco ciò in cui crediamo. Scosse continue che non creano devastazioni e lutti bensì gioia e felicità. E tutto questo comincia, puntuale, ogni 25 dicembre.

Facciamo di tutto, noi, per crederci. O per far finta di crederci. Magari qualcuno che ci crede sul serio c’è. Forse qualche bambino (ammesso ce ne siano ancora, non inquinati da whatsapp). Forse qualche folle. O qualche monaco.

Tutti noi - numerosissimo “resto” - diciamo di crederci, al Natale sdolcinato che in tv e nei mercati comincia a fine ottobre. Perfino chi si bea di un ateismo in genere di facciata: sotto sotto, pure loro finiscono per essere uguali a noi baciapile. Hanno una strana voglia di crederci.

Pandoro e panettone, panforte e zampone, cenoni e regali inutili, pranzi con i parenti e cene con chi vuoi, presepi strumentalizzati e alberi con le palle, luci finte e sentimenti buoni che costano poco durando ancora meno.

Ma quel terremoto di Bambino nato dove ora c’è un muro? Nato per portare parole che terremotano? Finito in un terremoto poco dopo la morte in croce che anche al centurione, a quel punto, gli venne il dubbio di aver ucciso davvero il Figlio di Dio? E l’altro terremoto, ancora più potente, davanti alla pietra del sepolcro vuoto?

Che bello sarebbe se tutte queste scosse continue riuscissero sul serio a darci una scossa. Chissà. Magari il “venti-venti” che sta arrivando può essere l’anno giusto per lasciare il festival delle “finte”. Chissà. Auguri a tutti noi.

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Leggi la #ParoladelNatale sul nostro sito:

1. VIGILIA 

2. DONO

Ultima modifica: Mer 25 Dic 2019