Il nostro Primo Maggio, senza le piazze e senza il lavoro

L'anno scorso, alla fine del durissimo lockdown di primavera, facevamo già i conti con la crisi. Che si traduce in taglio di posti di lavoro, anche nell'editoria e nell'informazione. Così, anche quest'anno non ci mancano solo le piazze. 

E molte volte, quando anche il lavoro c’è, esso è precario e non offre un salario dignitoso. A rimetterci sono soprattutto i più giovani, gli “ultimi arrivati”, che finiamo per ‘consegnare’ ad altre mansioni, perdendo così una intera generazione di (potenziali) bravi, moderni, innovativi professionisti dell’informazione.

La nostra Paola Springhetti, sulle pagine di questo sito (leggi qui), ha fatto qualche mese fa una interessante riflessione sull’età (anagrafica) di chi opera nei mezzi di comunicazione. Siamo, in media, giornalisti ‘maturi’ in media ‘antichi’ che parlano ad utenti ‘anziani’. Vero, certamente. Ma dove hanno lo spazio i più giovani? Quanto possono resistere a fare una gavetta senza nessuna prospettiva reale di fare non tanto una ‘carriera’ ma un normalissimo inserimento lavorativo? Quanto può durare la resistenza in redazione sulle spalle di mamma e papà?

In questo momento poi la crisi economica, frutto di un’emergenza sanitaria senza precedenti, sta complicando ancora di più le cose.Rischia di provocare la fuoriuscita dal lavoro di centinaia di altri giornalisti (non solo giovani) e genera prospettive sempre più incerte per il futuro, per tutti. Era inevitabile che ciò accadesse, anche se la voglia di informarsi, da parte dei cittadini, cresce a dismisura. 

E’ il paradosso di sempre, è il peccato originale di una professione (la nostra) così bella e affascinante che talvolta baratta la gratificazione personale con lo stipendio per vivere. Ma soprattutto è la conseguenza di politiche inadeguate o addirittura contrarie al riconoscimento del ruolo e dell’importanza dell’informazione professionale.

Poco importa che l’idea che il giornalismo si possa fare anche solo con i ‘social’ sia stata definitivamente smontata dalla consapevolezza che niente può essere così manipolabile. E che la varietà e la vastità di mezzi e tecnologie a disposizione non cambino affatto la sostanza di un buon articolo, di un servizio, un reportage.

Anche noi giornalisti, certamente, abbiamo grandi colpe. Non è un caso che la fiducia dell'opinione pubblica nei nostri confronti si sia tanto ridotta. Abbiamo ceduto alla tentatzione dell'informazione-spettacolo, ci siamo piegati alla dimensione 'mordi e fuggi' inseguendo i clic, soprattutto abbiamo rinunciato alla sostenibilità etica delle nostre scelte. Invece a noi giornalisti, scrive il presidente della Repubblica nel messaggio per i 60 anni dell’Ucsi, “sono consegnate due parole chiave: responsabilità e verità, come “elementi connaturati a un esercizio corretto della professione giornalistica”, consapevoli di come “l’informazione costituisca elemento basilare di una società libera e democratica”. E, su questo sito, anche di recente il bravissimo Federico Badaloni che ha indicato una via possibile per recuperare la fiducia della gente.

Ultima modifica: Ven 30 Apr 2021