La risurrezione di Cristo. Un evento meta-storico

Cos’è accaduto 2000 anni fa? La Resurrezione è un evento meta-storico, si dà nella storia ma va oltre la storia, lascia tracce nella storia, ma le prove (oggettive) sono tutte indirette: il sepolcro vuoto, la testimonianza delle donne, una comunità che si riunisce, la missione degli apostoli, la chiesa che dopo 2000 anni continua a celebrare...

La Scrittura riporta un’esperienza reale che è già simbolica. Il Signore anzitutto risorge nei cuori. Per questo non è strano che la mediazione tra i due linguaggi si trovi nell’espressione ōfthe, “si fece vedere”. “Si fece vedere” è un verbo attivo, causativo ed è diverso dal verbo “fu visto” (passivo).

I racconti della risurrezione dei vangeli sono sorprendenti. Perché nello stesso momento una persona vede Cristo risorto e la sua vicina no? Un cronista del tempo avrebbe potuto raccontare un sepolcro aperto e/o un corpo che non c’è più. Quel corpo è risorto, nascosto o rubato? Cosa diremmo noi? Che posizione prenderemmo se assistessimo a un fatto così?
Chi lo vede risorto ha un’esperienza di fede, chi invece non vede nulla o non vuole vedere nulla è perché ha deciso di non conoscerlo... è per questo che rischiamo di non capirci quando parliamo di risurrezione. È stato difficile anche per i contemporanei di Gesù.

Credere che il crocifisso sia il risuscitato, è tutta la nostra fede. Ma ce ne vuole tanta. Eppure ce lo insegnano i personaggi minori dei vangeli nei quali anche noi possiamo essere assimilati e riconoscerci.

Anzitutto il Centurione. È l’unico interprete autentico della croce. Si ritrova ad essere il teologo della croce senza volerlo. È la persona meno adatta, che non ha nessun titolo se non una serie di condizioni negative: pagano, comandante del plotone di esecuzione, empio, giustiziere del giusto. Dove è stato colpito? Dice il Vangelo di Marco: “Stava lì davanti a lui”. Marco vuol portarci a questo faccia a faccia col Crocifisso, nei panni del centurione che lo crocifigge. Il confronto con la morte di Gesù, e con questa sua morte interiore, lo porta a conoscere il Cristo: “Veramente quest’uomo era Figlio di Dio”. Tolto ogni segreto, il Centurione ci aiuta a capire per la prima volta chi è Gesù e chi è Dio.

Poi c’è Simone il cireneo, si chiama come Simone Pietro che, secondo le sue pretese di poche ore prima, avrebbe dovuto essere qui a morire con lui (14,29.31). Ma anche Pietro diventerà discepolo e seguirà Gesù quando, come questo Simone, sarà portato dove lui non vorrà (Gv 21,18s). Portando la Sua croce risorgerà insieme a Lui. Viene da Cirene, in Africa. Dal suo nome, è stato scritto, “possiamo supporre che sia un ebreo emigrato in cerca di fortuna. Ma non deve averne fatta molta, se è tornato a lavorare i campi, forse altrui. Se fosse stato ricco, altri avrebbero lavorato per lui. Scegliendo proprio lui per portare la croce, ovviamente i soldati hanno guardato in giro per vedere quale fosse il più sprovveduto”. È il padre di Alessandro e Rufo. Se Marco lo indica attraverso i suoi figli, significa che questi sono noti alla Chiesa di Roma, come pure sua moglie (cf Rm 16,13).

Poi ci sono le donne. Guardano da lontano la scena. Con loro il vangelo raggiunge il suo scopo: portare al confronto con Gesù morto, sepolto e risorto. Non fanno niente. Guardano. Si immergono nella realtà che hanno davanti. Il far niente della contemplazione cambia il loro cuore: si svuotano di sé, riempiendolo di ciò che contempla. Sarà a loro che il Signore svelerà la sua risurrezione.

Infine Giuseppe d’Arimatea, nobile consigliere che faceva parte del sinedrio che l’ha giudicato. Era una persona che cercava il Regno di Dio e si ritrova tra le braccia il corpo di Cristo. Come a dire: cerchi il Regno di Dio? La porta di accesso è il corpo di Cristo.

Detto questo, davanti alla risurrezione di Cristo, il dubbio attraversa tutti i Vangeli! Il card. Martini lo ha scritto a chiare lettere: «Ritengo che ciascuno di noi abbia in sé un non credente e un credente, che si parlano dentro, si interrogano a vicenda, si rimandano continuamente interrogazioni pungenti e inquietanti l’uno all’altro. Il non credente che è in me inquieta il credente che è in me e viceversa. [...] La chiarezza e la sincerità di tale dialogo mi paiono sintomo di raggiunta maturità umana».

L’evento della risurrezione – come scrive Pietro Bovati su Civiltà Cattolica – “è «compreso» dunque nel suo senso ed è accolto con un consenso autentico solo se è «visto» come il compimento della promessa divina attestata dalle Scritture”.

Il riconoscimento avviene come un incontro, un camminare insieme, un mangiare insieme, una storia da costruire lungo il tempo. Non solo visione, ma incontro personale. Il primato non spetta ai segni (condizioni di possibilità) ma a Cristo e alla relazione con Lui. Senza questa iniziativa, gli Apostoli non sarebbero mai giunti alla fede e la chiesa non potrebbe avere la forza della missione.

È per questo che ci aspetta un lungo viaggio, descritto da Dag Hamerskjöld: “Il viaggio più lungo è il viaggio interiore”... non per rimanerci, ma appunto per emigrare verso la vita del Risorto, esplosione dell’amore di Dio nel corpo di Cristo.

L'autore. Francesco Occhetta S.I., è consulente ecclesiastico dell'Ucsi. Altre sue riflessioni sono all'interno della rubrica "Parola e Parole" in questo stesso sito.

 

Ultima modifica: Dom 16 Apr 2017