Opinioni

Piccoli editoriali per la condivisione e il confronto

Musica e ragazzi - Parlare di pudore senza pudore

Una sconsolata insegnante di scuola media mi ha riferito ieri che le ragazze della sua classe si esibiscono in atteggiamenti provocanti, nell’abbigliamento, nelle relazioni frontali e sui social networks. In realtà, ho cercato di rispondere, le ragazze non sono così: le ragazze diventano così a causa di un humus culturale ed etico alimentato continuamente dal sistema mass-mediale, quello musicale in primis. Il processo in atto è simile a quello che lo psicologo statunitense Stanley Milgram chiamava, già nel 1961, la generazione di uno “stato eteronomico”, che induce la persona a comportarsi come chiede chi è percepito come autorità in un dato momento o in un certo ambito. Nel campo della musica, la star-cantante diventa perciò l’autorità, che determina non solo la percezione di ciò che è bello, cioè la forma artistica, ma anche di ciò che è vero e buono; in particolare, il sistema delle pop-star americane si presenta oggi come un’uniforme e coerente autorità cui obbedire imitandone gli atteggiamenti, che poi sono quelli rilevati dalla sconsolata insegnante. Per esempio, è notizia di questi giorni l’apparizione senza veli di Demi Lovato, che ha postato su Instagram una foto che poco lascia all’immaginazione per il lancio del nuovo disco. Al senza veli e alla gestualità dai forti richiami sessuali ci ha abituato un’altra pop-star, Miley Cyrus, che si espone nei video musicali (tra tutti, Wrecking Ball), nei programmi televisivi (tra tutti, il World Music Award) e nella quotidianità della vita. Alle danze erotiche (tra cui il twerking) si prestano pop star come Lady Gaga, Katy Perry e, ora, pure Taylor Swift, ritenuta da molti quella che “certe cose” non le fa. Nudità, violenza e linguaggio scurrile sono invece presenti nel video di Rihanna B*** better have my money. Fermiamo qui l’elenco, perché queste poche artiste hanno venduto centinaia di milioni di copie ed i loro video hanno miliardi (sì, miliardi!) di visualizzazioni: tra le visualizzanti ci sono anche le nostre ragazze, per le quali l’autorità è questo manipolo di artiste, mica la scuola, la famiglia o la comunità cristiana, dentro le quali quasi più nessuno le aiuta a discernere e a scegliere, perché “il mondo della musica è così”, frase che segna il fallimento educativo. Per finire e per inciso, alla sconsolata insegnante ho suggerito pure di iniziare a parlare di pudore senza pudore.

 

* Marco Brusati è il direttore generale dell’Associazione Hope (**), ed è docente e ricercatore del Dipartimento di Lettere e Filosofia dell'Università di Firenze.

Studia i processi di comunicazione applicata alle esperienze pastorali ed ecclesiali, con particolare riferimento a due ambiti:l’evoluzione dei modelli mass-mediali e la loro influenza nell’educazione di preadolescenti, adolescenti e giovani e l’evento live come strumento privilegiato per un dialogo educativo con le nuove generazioni, anche in risposta alle spinte mass-mediali.

Ha all’attivo la progettazione e la direzione di grandi eventi ecclesiali come i meeting della CEI per le GMG di Roma (2000), Toronto (2002), Colonia (2005) e Rio de Janeiro (2013); gli incontri di Papa Benedetto XVI con i giovani a Cagliari (2008), a Torino (2010) e l’Incontro mondiale delle famiglie (2012); gli incontri di Papa Francesco con le famiglie (2013), i fidanzati (2014), la scuola (2014) e le società sportive (2014), i giovani a Torino (2015);  con questi eventi ha incontrato oltre 5 milioni di persone. Opera costantemente come formatore e conferenziere.

** L'Associazione Hope è stata fondata nel 1998 su iniziativa del Servizio Nazionale per la Pastorale Giovanile della CEI per il quale ha operato in esclusiva per un decennio, oggi l’associazione Hope è divenuta una rete internazionale di servizio alla Chiesa nei settori della musica, dello spettacolo, degli eventi e della comunicazione mass-mediale. Parallelamente, ha mantenuto fede al suo mandato originario di formare i giovani ad essere artisti e creativi capaci e responsabili, portatori di una visione dell’uomo e della donna illuminata dal Vangelo.

Scuola Ucsi: ancora spunti sul rapporto tra media e ragazzi

I “Minori” rappresentano un mondo speciale, semplice ma non scontato, che necessita di essere ascoltato e di essere preso sul serio dagli adulti. Sono sfruttati emozionalmente; sballo, sesso e droga sono molti dei contenuti dei messaggi che circolano in rete e che arrivano direttamente sugli smartphone dei ragazzi. Ma la rete non crea, è neutrale, è fatta dagli utenti, replica ciò che si produce. I nativi digitali sono dunque protagonisti e spettatori, consumatori e produttori di relazioni. Relazioni pericolose che possono portare persino a gesti inconsulti, quelli che in qualche caso compiono t ragazzi dopo che magari hanno postato le proprie immagini intime.  L’appello al giornalista pertanto è per un “sostegno critico”. Non gli si chiede di cambiare il mondo, ma di sentirsi educatore della comunità.  Se ne è discusso a lungo anche ad Assisi, alla tavola rotonda che ha concluso la “tre giorni” di formazione della Scuola Ucsi.

“È in atto una rivoluzione copernicana che ha investito il sistema mediatico – è stato detto nella presentazione – e il telefono “connesso” ha assunto una centralità tra i giovanissimi, registrando in Italia un boom di consumi”. Il Paese è segnato inoltre da stagnazione demografica (solo in Campania, Puglia e Sicilia gli over 65 non sopravanzano gli under 18) e da una accentuata povertà educativa (il 55% dei ragazzi tra 6 e 18 anni non ha mai visitato un museo, e quasi la metà non ha mai letto un libro extrascolastico, soprattutto dopo gli 11 anni, con un forte divario tra Nord e Sud).

La fuga dai mass media tradizionali impone modelli antropologici che spingono i giovani ad andare fuori dalle regole. “La genitalizzazione precoce è causa di un humus  mass mediale alimentato quotidianamente da pop star americane che si presentano come modelli da imitare – ha detto Marco Brusati dell’Associazione Hope (leggi il suo articolo tra le notizie di “MediaEtica”). L’eros infatti per i giovani ha una valenza pubblica, non più intima,  è diventato un passaporto per l’accesso a un gruppo, che genera anche l’ansia di postare immagini intime”.  E allora chi sono i nativi digitali? È tutta colpa degli smartphone? “Non contano i mezzi con cui si comunica –ha spiegato Padre Stefano Gorla ex direttore de “Il Giornalino” – lo sono i contenuti. Il vero problema è che bisogna ascoltare bambini e ragazzi, entrare in empatia, dare loro gli strumenti giusti per capire e leggere la realtà”.  Gorla, però, ha precisato che la logica della comunicazione, con loro, non deve essere del secchio da riempire ma della relazione, che è comunione.  “I ragazzi devono essere sempre illuminati dalla luce della curiosità, se non vogliamo perdere il loro immaginare – ha  avvertito-  e questo è compito  degli educatori”.  

Sport: quella sponsorizzazione "azzardata" e la distorsione dei valori

Non occorre ricorrere agli assiomi dei luminari della comunicazione della scuola californiana di Palo Alto per capire che nel circuito pubblico mass mediatico “ogni abito fa il monaco”. Eccome, se lo fa. E’ pacifico, in proposito, concordare sul fatto che crei più dibattito pubblico la comunicazione intrinseca della pettinatura o della maglia sfoggiata da un noto sportivo piuttosto che le parole di un capo di stato. Quali valori comunica, ci chiediamo nel merito dunque, il marchio “Intralot”, sponsor di una piattaforma di gioco d’azzardo e scommesse, sulla maglia della nostra Nazionale di calcio, rappresentativa italiana dello sport più praticato e noto nel nostro amato paese?

«L’azzardo non è un gioco, ma una droga» ha tuonato nel merito proprio qualche giorno fa mons. Filippo Santoro, Arcivescovo di Taranto e Presidente della Commissione per i problemi sociali e il Lavoro, la Giustizia e la Pace della CEI, nel corso della trasmissione “Siamo noi”, in onda su Tv2000.

Non nascondiamo di “azzardare” doverosamente una risposta, proprio rimarcando le parole di mons. Santoro: questa comunicazione provoca «un vero sconcerto e una tristezza molto grande, per l’effetto sia sulla vita delle persone vittime del gioco d’azzardo, sia per il riflesso sul piano educativo, sia per quello sulla società nel suo insieme. Ho visto famiglie distrutte dalle conseguenze dell’azzardo, famiglie che non riescono a risollevarsi: l’azzardo è un disastro nella vita della famiglia e della società. È una droga sociale e come tale va fermata».

Una scelta francamente inammissibile, per lo meno se la Federazione italiana giuoco calcio vuole continuare a sostenere con credibilità ragioni, a questo punto purtroppo ben poco fondate, di educazione e didattica dei giovani rispetto ai più importanti valori dello sport. “Quali valori sono comunicati?” ci sarebbe da chiedersi. Bastano “i valori” del portafoglio per giustificare questo deprecabile azzardo nazionale?

L’auspicio è che l’appello all’eliminazione di un messaggio così imbarazzante possa giungere al Presidente della Repubblica, educatore di ricca esperienza, come anche al Primo Ministro, di conclamata tradizione scout, affinché la comunicazione diretta e indiretta della Nazionale azzurra possa tornare ad esprimere con credibilità i più alti valori che lo sport, come ha affermato Papa Francesco, ha il dovere di diffondere.

Rapporto Comunicazione: la necessità di educare ai nuovi mezzi

Il 13° rapporto Censis Ucsi sulla comunicazione conferma un trend inesorabile: gli italiani sono sempre più social
Sono tante le considerazioni che si possono trarre dal boom dei media digitali: il rapporto diretto e disintermediato, attraverso la decostruzione delle forme di autorità costituite; il solco scavato tra giovani e anziani, con i primi presenti su tutti i nuovi mezzi di comunicazione ed i secondi in gran parte assenti; ma anche il rischio di una “perdita di conoscenza” con una società che si incontra meno dal vivo e rimane più in superficie, a cui invece fanno da contraltare le opportunità che il web offre con la sua capacità di raggiungere ogni angolo del mondo, di offrire contenuti multimediali e occasioni di approfondimento, se ben cercate e verificate.

Il dato di fatto è: la nostra civiltà è sempre più digitale. Che non significa migliore o peggiore. Tutto dipende dall’uso che se ne fa: il mutamento in atto è di portata storica, come lo è stata la scoperta del fuoco, l’invenzione della ruota o la rivoluzione industriale, perché cambia il nostro modo di vivere, di usufruire dei servizi, di entrare in relazione con gli altri. È per questo un cambiamento anche antropologico. Un fatto che richiede di educarci all’utilizzo del mezzo. Facendo del web una nuova agorà in cui mettere le basi per comunità più libere, ma anche più giuste e solidali. La sfida è appena cominciata, a noi il dovere di giocarla.

Rapporto Comunicazione: la nostra sfida "social"

Il 13° rapporto Censis Ucsi sulla comunicazione conferma un trend inesorabile: gli italiani sono sempre più social!
Sono tante le considerazioni che si possono trarre dal boom dei media digitali: il rapporto diretto e disintermediato, attraverso la decostruzione delle forme di autorità costituite; il solco scavato tra giovani e anziani, con i primi presenti su tutti i nuovi mezzi di comunicazione ed i secondi in gran parte assenti; ma anche il rischio di una “perdita di conoscenza” con una società che si incontra meno dal vivo e rimane più in superficie, a cui invece fanno da contraltare le opportunità che il web offre con la sua capacità di raggiungere ogni angolo del mondo, di offrire contenuti multimediali e occasioni di approfondimento, se ben cercate e verificate. Il dato di fatto è: la nostra civiltà è sempre più digitale. Che non significa migliore o peggiore. Tutto dipende dall’uso che se ne fa: il mutamento in atto è di portata storica, come lo è stata la scoperta del fuoco, l’invenzione della ruota o la rivoluzione industriale, perché cambia il nostro modo di vivere, di usufruire dei servizi, di entrare in relazione con gli altri. È per questo un cambiamento anche antropologico. Un fatto che richiede di educarci all’utilizzo del mezzo. Facendo del web una nuova agorà in cui mettere le basi per comunità più libere, ma anche più giuste e solidali. La sfida è appena cominciata, a noi il dovere di giocarla.

Riccardo Clementi