Natale, il racconto di un Vivente

Va premesso. Il Natale non è un simbolo, una favola, una identità che separa da altre o un meta racconto. È tutto molto più semplice. Per il credente il Natale è la storia di un Vivente, che è nato da una vergine, ha vissuto come uomo, è morto in croce da innocente e giusto, poi è stato risuscitato dall’amore di Dio padre. Avere fede significa proprio questo, fidarsi e affidarsi a questa Vita che nasce e rinasce e continua a Vivere. È questa la storia di Gesù di Nazareth. Il buon giornalismo la deve raccontare così, senza edulcorarla o enfatizzarla.

Il nostro futuro si nutre di quel punto del passato. Colpisce sempre la potenza dell’annuncio storico del Natale: «All’epoca della centonovantaquattresima Olimpiade; nell’anno 752 dalla fondazione di Roma; nel quarantaduesimo anno dell’impero di Cesare Ottaviano Augusto, mentre su tutta la terra regnava la pace, nella sesta età del mondo, Gesù Cristo, Dio eterno e Figlio dell’eterno Padre, (...) nasce in Betlemme di Giuda».
In quel momento «regnava la pace». C’è bisogno di pace. C’era pace nel cuore di Maria e nel cuore obbediente di Giuseppe per permettere al Verbo di rivestirsi di carne.

Il presepe ricorda la sua nascita, nella scena di un angolo di mondo, Betlemme. È una grande contemplazione. Ma tutto questo non basta. Per animare il Natale occorre che la storia del Vivente si racconti da padre in figlio, da nonno a nipote; le madri fanno esperienza del miracolo della vita e i padri (anche spirituali) sono chiamati a difenderla e a proteggerla, allo stesso modo le culture e la politica.

Allora se la Vita si trasmette anche il presepe si anima, ciascuno trova un suo posto e anche negli angoli del mondo quella storia continua a vivere.

Alda Merini lo descrive così:

Oh, generoso Natale di sempre!
Un mitico bambino
che viene qui nel mondo
e allarga le braccia
per il nostro dolore.
Non crescere, bambino,
generoso poeta
che un giorno tutti chiameranno Gesù.
Per ora sei soltanto
un magico bambino
che ride della vita
e non sa mentire.

Davanti al Vivente, che nascendo “allarga le braccia per il nostro dolore” e anticipa col suo gesto la croce del Signore, sono solo due le scelte possibili: stare dalla parte della Vita o stare da quella della morte. Dalla parte della Vita, non dell’eterno sopravvivere, la vita che non ha paura di pagare il prezzo dell’amore che si chiama morte.

Insomma siamo davanti a un grande mistero illuminato dalla luce di quel bambino che è nato nel modo in cui i Vangeli ce lo raccontano.

Da questo dono immenso di Dio che dona il Figlio agli uomini, nascono i regali che sono doni nel Dono.

È nel donatore che vive il regalo, non nel consumo che ci consuma. È nella gioia di un segno che si nasconde la presenza, non nella compulsione degli acquisti delle cose. Un bambino può avere la casa piena di giochi ed essere triste perché è solo, può averne pochi ed essere contento perché gioca con gli altri. Se poi quei giochi sono anche il ricordo della storia del Natale perché le famiglie non si vergognano di insegnarla... allora quei giochi si riempiono di luce ed entrano nella memoria della vita. Perché hanno festeggiato il Vivente.

Ultima piccola riflessione. Il dono del tempo, ben descritto nelle righe di una poesia di Elli Michler. A Natale non si diventa più buoni, ma più umani sì. Per questo ci vuole tempo, per fermarsi, riflettere, ridere, donarlo agli altri e per avanzarne un po’ per se.

Ti auguro tempo per sperare nuovamente e per amare.
Non ha più senso rimandare.

Ti auguro tempo per trovare te stesso,
per vivere ogni tuo giorno, ogni tua ora come un dono.

Ti auguro tempo anche per perdonare.
Ti auguro di avere tempo,
tempo per la vita.

(l'autore, Padre Francesco Occhetta, è consulente ecclesiastico nazionale dell'Ucsi. Il testo riprende una sua riflessione del Natale 2017 per il sito ucsi.it)

* nel riquadro un particolare di "Sacra Famiglia con un pastore" - Tiziano, 1507 - dipinto esposto alla National Gallery di Londra

Ultima modifica: Sab 29 Dic 2018